Biblioteca Comunale di Bortigali
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Fra sé e le proprie origini Lucy Barton ha messo due matrimoni, molti libri di successo, una vita intera: oggi è un'autrice famosa, ha splendide figlie ormai adulte e da un anno è vedova di un uomo amatissimo. Ma è del suo primo marito, William, che ora vuole parlare. William, l'irraggiungibile, infedele padre delle sue bambine: è a lui che ha bisogno di tornare. In un dialogo intimo con ciascuno di noi e con tutti i passati che non passano mai davvero, fino a quando la parola deve lasciare il posto a un'unica esclamazione sopraffatta: oh William. Oh.
«Elizabeth Strout è una delle mie scrittrici preferite, quindi il fatto che "Oh William!" sia probabilmente il mio preferito fra i suoi libri è una formula matematica che restituisce gioia. La profondità, la complessità e l'amore contenuti in queste pagine hanno del miracoloso» – Ann Patchett
«Vorrei dire alcune cose sul mio primo marito, William», esordisce una Lucy Barton oggi sessantaquattrenne aprendo questo capitolo della sua storia, e nell'immediatezza del suo proposito s'intuisce il lavorio di riflessioni a lungo maturate. Sono passati decenni da quando Lucy, convalescente in un letto di ospedale, aspettava la visita delle sue bambine per mano al loro papà; decenni da che, con pochi vestiti in un sacco dell'immondizia, lasciava quel marito tante volte infedele e si trasferiva in una nuova identità. Oggi Lucy è un'autrice di successo, benché ancora si senta invisibile, con le figlie ormai adulte ha un rapporto vitale e premuroso, e da un anno piange la scomparsa del suo adorato secondo marito, David, un violoncellista della New York Philharmonic Orchestra, nato povero come lei. William di anni ne ha settantuno, è sposato con la sua terza moglie, Estelle, di ventidue anni piú giovane, e la sua carriera di scienziato sembra agli sgoccioli. Tanta vita si è accumulata su quella che lui e Lucy avevano condiviso. Perché dunque William? Perché tornare a quell'uomo alto e soffuso d'autorità, con una faccia «sigillata in una simpatia impenetrabile» e un cognome tedesco ereditato dal padre prigioniero di guerra nel Maine? Corrente carsica che scorre silente per emergere in imprevedibili fiotti di senso e sentimento, questo matrimonio è ricostruito per ricordi apparentemente casuali – una vacanza di imbarazzi alle Cayman, una festa tra amici non riuscita, un viaggio di risate in macchina, un amaro caffè mattutino – ma capaci di illuminare i sentieri sicuri e i passi falsi di una vita coniugale, dove le piccole miserie e gli asti biliosi convivono con i segni di un'imperitura, ineludibile intimità. Cosí è William il primo che Lucy chiama quando viene a sapere della malattia di David; ed è a Lucy che William chiede di accompagnarlo in un viaggio nel Maine alla spaventosa scoperta delle proprie origini e di verità mai conosciute. «Oh William», torna a ripetere Lucy, e in quell'interiezione c'è un misto eloquente di esasperazione per le sue mancanze e tenerezza per le sue illusioni. Un sentimento caldo che si allarga in un abbraccio universale: «Ma quando penso Oh William!, non voglio dire anche Oh Lucy!? Non voglio dire Oh Tutti Quanti, Oh Ciascun Individuo di questo vasto mondo, visto che non ne conosciamo nessuno, a partire da noi stessi?»